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Finanza e assicurazioni
Home›Finanza e assicurazioni›TFR: meglio in azienda o nel fondo pensione?

TFR: meglio in azienda o nel fondo pensione?

By Davide Rattacaso
19 Agosto 2019
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Il Decreto Legislativo 252/2005 ha introdotto per la prima volta, a partire dall’1 gennaio 2007, la possibilità di scegliere se lasciare il TFR in azienda o se destinarlo alla previdenza complementare. Decorsi sei mesi dal momento dell’assunzione, qualora il lavoratore non abbia preso alcuna decisione, scatta il silenzio assenso, attraverso cui il datore di lavoro traferisce il TFR maturando alla forma di previdenza complementare individuata dagli accordi collettivi, anche territoriali, o dagli eventuali accordi aziendali che prevedano altre forme collettive.

Altra possibilità per il dipendente è appunto quella di lasciare invece il TFR in azienda, scelta che potrà comunque essere revocata in qualunque momento a beneficio dell’adesione a una forma di previdenza complementare.

Ma quali sono dunque gli elementi utili per prendere questa decisione? Premettendo che non c’è una risposta giusta o sbagliata in assoluto alla questione, è utile valutare una serie di differenze che potrebbero aiutare nella scelta.

LA SIMULAZIONE

I numeri parlano chiaro. Il Sole 24 Ore, grazie ai dati forniti dal fondo pensione territoriale Solidarietà Veneto, ha realizzato una simulazione analizzando il portafoglio di un investitore che 10 anni fa ha deciso di aderire a un fondo negoziale, confrontandolo con il guadagno che lo stesso investitore avrebbe realizzato decidendo invece di lasciare il TFR in azienda.

Ebbene, il nostro investitore si trova oggi con un portafoglio decisamente più ricco di quello che avrebbe ottenuto se avesse fatto affidamento solo sulla rivalutazione del TFR. Naturalmente il rendimento ottenuto varia a seconda del comparto scelto all’interno del fondo negoziale: si va dal più rischioso (dinamico) a quello più prudente (nel caso di Solidarietà Veneto si chiama “TFR Garantito” e mira a conseguire rendimenti pari o superiori al tasso di rivalutazione del TFR garantendo la restituzione del capitale investito e un rendimento triennale netto almeno pari alla rivalutazione netta del TFR in azienda).

I RENDIMENTI FINANZIARI

Una prima differenza riguarda il rendimento finanziario.

Il TFR infatti, se lasciato in azienda, viene rivalutato al tasso dell’1,5% + 75% del tasso di inflazione al dicembre dell’anno precedente, dunque in misura “prestabilita”.

Versando il proprio TFR maturando alla previdenza complementare, il lavoratore accede all’opportunità di partecipare al rialzo dei mercati finanziari e godere di rendimenti di lungo periodo potenzialmente più elevati.

Inoltre, potendo scegliere la propria linea di investimento, che rifletterà la personale propensione al rischio, eventuali ribassi nel breve termine potranno essere compensati nel lungo periodo da performance positive dei mercati.

LA FISCALITA’

Oltre al mero rendimento finanziario c’è un’altra componente che inevitabilmente impatta sui rendimenti netti di qualsiasi investimento, a maggior ragione se si considera un orizzonte temporale di lungo periodo come l’intera vita lavorativa, la tassazione dei rendimenti.

I fondi pensione infatti beneficiano di un’imposta sostitutiva del 20%, anziché del 26% come gli altri strumenti finanziari, su interessi e plusvalenze realizzate. Inoltre i titoli di Stato nonché le obbligazioni dei titoli pubblici territoriali (come regioni, province e comuni) e i bond di stato esteri e territoriali inseriti nella white list (che contiene gli Stati che consentono un adeguato scambio di informazioni) e quelli degli organismi internazionali sono tassati al 12,5%.

Il rendimento del TFR lasciato in azienda è invece assoggettato all’aliquota del 17%.

Se prendiamo come esempio un comparto bilanciato (70% obbligazioni e 30% azioni), che può essere rappresentativo del portafoglio medio di un fondo pensione, applicando le due diverse aliquote di tassazione otteniamo, con qualche approssimazione, un’imposizione media del 14,75%.

Scegliendo quindi di destinare il proprio TFR a un fondo pensione, non solo è possibile conseguire un rendimento atteso maggiore, ma avere anche un risparmio fiscale che a lungo andare può fare la differenza.

Altro aspetto da non trascurare è la differente tassazione che verrà applicata al momento dell’erogazione del TFR. Quest’ultimo, se accumulato presso l’azienda, sarà soggetto a tassazione separata.

In questo caso la quota di TFR maturato verrà moltiplicato per dodici e diviso per gli anni di servizio (TFRx12/n° anni di servizio) su cui verrà applicata l’aliquota (IRPEF) media di tassazione dei cinque anni antecedenti la cessazione dell’attività lavorativa.

LE ANTICIPAZIONI

Nel corso della carriera lavorativa è possibile che sorgano bisogni di varia natura per cui potrebbe essere necessario ricorrere all’anticipo del proprio TFR maturato.

Anche in questo caso avere il TFR in azienda o presso un fondo di previdenza può comportare differenze sia nelle condizioni di accesso che negli importi effettivamente conseguibili.

Va specificato che l’anticipo chiesto al fondo si riferisce all’intera posizione maturata, composta da contributo del lavoratore, del datore di lavoro, del TFR e dei rendimenti finanziari, mentre per il TFR in azienda l’anticipo sarà costituito dalla quota di TFR e dal suo rendimento.

È bene precisare inoltre che potrebbero sorgere alcune differenze nelle condizioni di accesso ed erogazione dovuti all’anticipo del TFR in azienda dovute a specifiche caratteristiche dei diversi CCNL.

A ogni modo, l’anticipazione può essere ottenuta una sola volta nel corso del rapporto di lavoro, a condizione che la richiesta non sia stata presentata da più del 10% degli aventi diritto e nel limite del 4% del totale dei dipendenti e verrà tassata come visto in precedenza.

Non c’è limite invece al numero di anticipazioni richieste al fondo pensione che saranno invece assoggettate, nel caso di spese sanitarie, all’aliquota del 15% ridotta di 0,3 punti percentuali per ogni anno di adesione oltre il quindicesimo; in tutte le altre casistiche verrà applicata una ritenuta a titolo di imposta con aliquota fissata al 23%.

Ulteriore aspetto da tenere in conto è che quanto richiesto come anticipazione al fondo pensione può essere reintegrato con uno o più versamenti che possono anche superare la soglia annuale di 5.164,57 euro e comunque in esenzione di imposta.

QUINDI CHE FARE?

Come sempre, il primo passo è la consapevolezza. Tanto per cominciare, è importante che le persone conoscano il probabile livello di pensione che avranno maturato a fine carriera, in modo da prendere coscienza della situazione e da potersi muovere di conseguenza preparandosi con risparmi privati.

In secondo luogo, sarebbe bene informarsi a fondo sulle alternative disponibili: spesso, la scelta di lasciare il TFR in azienda è dettata da un misto di pigrizia e non conoscenza dell’alternativa.

fonte: https://www.ilpuntopensionielavoro.it

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